Stamattina il quotidiano la Repubblica, a pagina 12, propone un articolo di Giovanna Vitale che titola così:
«I cinque furbetti di Montecitorio col bonus partita Iva»
La notizia è questa. Cinque deputati hanno richiesto e ottenuto dall’INPS i bonus da 600 euro (poi diventati 1000) introdotti dal Governo come forma di sostegno ai lavoratori autonomi durante i mesi di lockdown. L’articolo specifica anche che i cinque parlamentari non hanno commesso alcun illecito perché, spiega Vitale, «in virtù del lavoro dichiarato, a prescindere dall’incarico parlamentare, avevano tutti i requisiti per richiedere il bonus.»
Ciò che mi interessa di questa vicenda, in realtà, non è tanto il fatto in sé – che a mio avviso rappresenta solo l’ennesimo motivo di sfiducia nei confronti della classe politica – quanto il modo in cui l’evento viene presentato dal giornale.
Una persona che approfitta di una misura di emergenza, pensata per aiutare fasce di lavoratori veramente in difficoltà, non è un furbetto, è un truffatore. Repubblica, descrivendo la notizia in questo modo, veicola un messaggio sbagliato, cioé che chi sfrutta le leggi a proprio vantaggio è furbo, astuto, scaltro. Il fatto che i protagonisti della vicenda siano dei politici è un’aggravante, sarebbe stato altrettanto scorretto se al centro della notizia ci fossero state altre categorie di lavoratori.
La retorica del furbetto non è una novità per il mondo dell’informazione e dei titoli. Nell’immaginario comune è radicata l’espressione “furbetti del cartellino”, per esempio, per indicare dei dipendenti che timbravano e poi non erano presenti sul posto di lavoro. Questo modo di dire è diventato anche una chiave di ricerca sui siti web di diverse testate, per dire. In questo caso non si tratta nemmeno di qualcuno che approfitta delle possibilità offerte da una legge, ma di delinquenti veri e propri, che sono stati perseguiti e processati. Ma che, per molti giornali, restano dei furbetti.
Fare informazione significa, tra le altre cose, proporre le notizie in maniera chiara, aderente alla realtà e in un modo che lasci meno spazio possibile a fraintendimenti. Un evento raccontato in maniera troppo enfatica, sensazionalistica o con le parole sbagliate viene percepito in maniera distorta da chi lo legge. Se chi ruba, chi truffa, chi si comporta male, viene definito “furbetto” e non “ladro”, c’è un problema. In questo modo un comportamento illecito viene ridimensionato e scollegato dalla propria gravità.
Si fa un gran parlare di che cosa serva al mondo dell’informazione per migliorarsi e svolgere bene il proprio ruolo. Scrivere bene un titolo – che in molti casi è l’unica cosa che viene letta – sarebbe già un grande passo avanti.