La mattina di venerdì 7 febbraio Patrick George Zaki, un ricercatore egiziano che studiava all’Università di Bologna, è stato arrestato all’aeroporto del Cairo dopo essere rientrato nel suo Paese d’origine per fare visita ai familiari. La notizia è stata diffusa dall’EIPR, l’Iniziativa Egiziana per i diritti personali, dove Zaki si occupava di diritti umani e di genere. Secondo le informazioni riportate da Amnesty International, che collabora con l’EIPR, il ragazzo sarebbe stato interrogato e torturato per motivi politici, in quanto oppositore del regime di Al Sisi. Nel momento in cui sto scrivendo questo articolo Zaki si trova in stato di detenzione preventiva e ci rimarrà per almeno 15 giorni. Potete approfondire l’intera vicenda leggendo questo articolo o guardando questo video.
Il motivo per cui sto parlando non è soltanto per darvi notizia di ciò che è accaduto, ma per contribuire − per il poco che posso − a continuare a diffondere informazioni su questo avvenimento. Non abbiamo la certezza che l’arresto di Zaki c’entri qualcosa con il caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano rapito e ucciso in Egitto nel 2016, ma è molto probabile, viste le ostilità del Governo egiziano nei confronti di qualunque tipo di attivista politico. Sempre l’EIPR sostiene che da ottobre 2019 sei membri del proprio staff siano stati arrestati e interrogati nell’ambito di di un’operazione di contrasto ai nemici del regime.
È importante continuare a parlare di Patrick Zaki perché il Governo italiano non lo sta facendo. Come per il caso Regeni, di cui a distanza di quattro anni e tre esecutivi non si conosce ancora la verità, ho l’impressione che anche stavolta la politica preferisca mantenere un profilo basso, per non compromettere i rapporti economici e commerciali tra l’Italia e l’Egitto. Lo considero un atteggiamento sbagliato, ma ne comprendo le motivazioni. Per questo che credo che siano i media i primi a dovere dare maggiore rilevanza e copertura alla vicenda, affiché grazie al loro lavoro l’opinione pubblica acquisisca più consapevolezza e pretenda giustizia. Solo allora interverrà la politica, che a quel punto non potrà più sottrarsi dalle proprie responsabilità e, anzi, farà a gara per intestarsi un eventuale successo nella risoluzione del caso. Non è un bello scenario da descrivere, ma funziona sempre così.
A Giulio Regeni non è bastata la morte per avere giustizia e forse non sapremo mai che cosa gli sia veramente accaduto. Patrick Zaki è ancora vivo, non lasciamo che la sua storia venga dimenticata dalle persone e, di conseguenza, dalla politica.