Il coronavirus e la guerra

La retorica dominante con cui proviamo a raccontare la situazione che stiamo vivendo a causa del coronavirus è quella della guerra. Una narrazione che si serve di frasi come “Siamo in guerra contro un nemico invisibile”, “Vinceremo questa battaglia”, “I medici e gli infermieri stanno combattendo per salvarci”.

Ho un’idea differente.

La guerra è un evento circoscritto da due date, una di inizio e una di fine. Oggi, invece, abbiamo forse, una data di inizio (il 31 dicembre 2019, giorno in cui il Governo cinese ha dato il primo allarme all’OMS) e sicuramente nessuna data di fine. Quando l’attuale stato emergenza cesserà dovremo affrontare una lunga fase ritorno alla normalità, un percorso graduale, lento e reversibile, fatto di aperture parziali, possibili nuove chiusure e nuovi decreti. Insomma, un periodo di grande incertezza.

Temiamo il coronavirus perché non sappiamo come raccontarlo. Le fotografie delle città deserte e i grafici che descrivono la progressione dei contagi sono gli unici espedienti che utilizziamo per dare un’immagine e una forma alla portata della pandemia. Per questo ho cercato un punto di vista diverso, che mettesse a confronto la vita alla fine di una guerra e la vita che stiamo vivendo oggi, in isolamento domestico, per capire se sia giusto o meno fare questo paragone.

Ho fatto alcune domande ai miei nonni, Cesare e Maria (91 e 83 anni), che hanno entrambi vissuto la Seconda Guerra Mondiale e, uso le loro parole, mai si sarebbero aspettati di vedere una cosa del genere. Trovate il video qui sotto.

Le riprese sono state effettuate nel rispetto delle prescrizioni sanitarie attualmente in vigore.

Il Google Play Store per contrastare la disinformazione sul Coronavirus

Ieri, mentre navigavo sul Play Store (il negozio di app per gli smartphone Android) ho notato un banner dedicato al nuovo Coronavirus:

Si tratta di una elenco di applicazioni per informarsi sul virus e sulla malattia attraverso fonti autorevoli e verificate, selezionate da Google. La raccolta comprende Medical ID (ICE) (un’app per creare il proprio profilo medico, utile in situazioni di emergenza), Glympse (per condividere in tempo reale la propria posizione, con tutti o con un gruppo scelto di utenti), oltre a Google News e Twitter. Le descrizioni di ciascuna app non sono quelle standard, ma contengono dettagli su funzioni specifiche o consigli per l’utilizzo:

Non è la prima volta che le grandi aziende del web adottano questo genere di misure per contrastare la cattiva informazione. Durante le campagne elettorali Facebook mostra in maniera sempre più trasparente i post sponsorizzati e propone l’elenco dei profili ufficiali dei candidati e degli eletti. Anche in questo caso ha deciso di inserire un banner informativo nel feed, che rimanda al sito web del Ministero della Salute. Stessa scelta da parte di Twitter, che mette in primo piano l’account del Ministero quando si cerca un hashtag relativo al virus.

Credo che i social network, e i giganti del web in generale, si stiano progressivamente rendendo conto delle responsabilità che hanno nella diffusione di contenuti autorevoli e del ruolo centrale che ormai ricoprono come media. Utilizzare un negozio di app come strumento per promuovere notizie verificate è una scelta inedita, che dimostra l’enorme varietà di azioni possibili per contribuire ad una ecologia dell’informazione.